Il futuro dipende dai vari passati possibili, cioè, in definitiva, dalle scelte di oggi.
A volte, il confine tra la realtà e “quello che poteva essere se” è così sottile che ti pare di vedere le cose in trasparenza, come se stessero per diventare vere e, guarda, per un solo soffio non si sono avverate. È un attimo e subito te ne scordi: “poteva essere, ma”. Ed è già passato. Un “così non è stato”, intendo.
Il passato, quello che è stato davvero, fa capolino dietro ogni angolo. Sono i fantasmi di te e me che si parlano, seduti su quelle panchine, ogni volta che passo dai giardini, a ripetere la stessa scena, da quel giorno, cristallizzati nel tempo. O quelli che si riaffacciano in un gesto, in una canzone, come folletti dispettosi, che non si lasciano acchiappare e giocano a nascondino tra le cose presenti, a cui non appartengono. Inafferrabili, diafani, poco meno che impronte.
Sono presenze che animano un mondo solo mio: i miei trascorsi. Visionaria agli occhi degli altri? Può darsi, se i loro spettri non li vogliono guardare. Eppure sono lì per tutti, zitti zitti, accoccolati, con una saggezza sorniona che noi non avremo mai, se non a posteriori, in rari casi.
Ecco, se ci penso sono loro gli unici effetti compiuti di questa mia vita imperfetta, che può solo essere improvvisazione. Credo che i giorni siano prove e invece sono il mio spettacolo: sconclusionato, penso, ma in realtà ogni azione ha in sé il proprio principio e la propria fine.
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